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Non bisognerebbe mai giudicare un fotografo dal tipo di pellicola che usa, ma solo da come la usa.
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.

Articolo del 31/03/2008 Pubblicato in attualità Letto 4913 Volte

I 101 siti più utili al mondo (almeno secondo gli inglesi)

Presenti Google ed eBay, ma anche Anonymouse, il sito per navigare in assoluto anonimato.


Tra i siti in questione c'è anche come trovare una fermata della metrò di Londra In rete c'è davvero di tutto, si sa, e volendo fare una cernita delle pagine web che realmente possono essere d'aiuto agli internauti ci sarebbe da perdersi nella marea di indirizzi più o meno utili cui ci si può rivolgere a seconda di ciò di cui si ha bisogno.
David Baker
del quotidiano britannico Daily Telegraph ci ha provato, e il risultato è una lunga classifica dei 101 siti che – a suo parere – sono indispensabili (o per lo meno più utili di altri) a chi naviga in internet.

TECNOLOGICI
- L'elenco di Baker è strutturato in sette categorie, e in vetta alla lista dei siti catalogati sotto la voce «tecnologia» troviamo il motore di ricerca per eccellenza, Google assieme a tutto l'elenco dei suoi tool e delle sue applicazioni web, come Gmail, GoogleDocs o GoogleMaps. A seguire, alle spalle della grande G, compare un servizio altrettanto utile ai navigatori, anche se per motivi diversi: parliamo di Anonymouse, il sito che fin dal 1997 consente agli utenti di muoversi nelle maglie del web, inviare e-mail e partecipare a newsgroup senza lasciare traccia dei propri dati personali.

PER PASSARE IL TEMPO – La seconda categoria è dedicata all'intrattenimento, e al primo posto c'è DigitalSpy, il sito britannico leader nel campo dei media e dell'entertainment, appunto. Aggiornate 24 ore su 24, le pagine della «spia digitale» offrono notizie sui temi dello showbiz, cinema, musica, tv e quant'altro. Vanta oltre 199 mila utenti registrati e il suo forum è tra i primi 30 del mondo in lingua inglese.

INFORMAZIONE E VITA DOMESTICA – Tra i siti essenziali per chi cerca informazione si trova Newsmap, un'applicazione che raccoglie e offre in un formato grafico personalizzabile l'insieme di news pescate in rete dall'aggregatore di notizie di Google. Per quanto riguarda poi la categoria «case e vita domestica», il sito evidenziato come più significativo dal Telegraph è quello di Noise Mapping England. Trattasi di un progetto nato nell'ambito della National Ambient Noise Strategy (Nans) inglese il
cui obiettivo è la raccolta di informazioni sull'inquinamento acustico in Inghilterra per la compilazione di «mappe del rumore», per la segnalazione dei livelli di rumore sul territorio del Paese, corredati con l'indicazione delle cause del disturbo (traffico, aerei, industrie e così via).
Così, in pratica, per sapere se una via particolare di Londra (l'unica città attualmente mappata) è rumorosa o meno, basta cliccarla sulla mappa e vedere a che livello di inquinamento acustico corrisponde il colore con cui è evidenziata.

SOCIAL, ACQUISTI E VIAGGI – Sul versante del social networking, invece, non stupisce trovare al primo posto il nome di Facebook, il più popolare dei siti che permettono agli utenti di condividere amicizie e tenersi in contatto, ovunque ci si trovi nel mondo. Se invece ciò che interessa è lo shopping, il sito più utile non è il gettonatissimo eBay (presente in seconda posizione) ma il meno noto GiftGen, che offre consigli per gli acquisti selezionati in base al sesso, all'età e agli interessi dell'utente, oltre che al prezzo massimo che si intende pagare.
Infine, non poteva certo mancare una categoria «travel», perché si sa che sono sempre di più gli internauti che si rivolgono all'internet per la scelta e l'organizzazione di viaggi e vacanze.
Il migliore, per Baker, è il sito di Sky Scanner, che si occupa del monitoraggio dei prezzi offerti da tutte le compagnie aeree low-cost. Basta digitare la destinazione prescelta per il viaggio e valutare la soluzione più conveniente offerta dal motore. Il tutto, come sempre, in pochi click.

fonte: corriere.it
 

Articolo del 31/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 3837 Volte

difiorefotografi - Napoli, Ercolano: particolare abito da sposa Anna Guarda. Le rose. Reportage

 

Articolo del 30/03/2008 Pubblicato in attualità Letto 4666 Volte

Napoli, Sant'agata sui Due Golfi: Don Alfonso riapre e diventa relais.



C'è un gran da fare al civico 11 di corso Sant'Agata, a Sant'Agata sui Due Golfi, indirizzo ben noto ai gourmet.


Un via vai di operai, giardinieri e solerti signore: il 15 marzo riapre il celebre Don Alfonso 1890. Due anni di ristrutturazioni hanno dato un volto nuovo, piacevolmente di tendenza, allo storico indirizzo. Il pluristellato ristorante di Alfonso e Livia Iaccarino diventa Relais e presenta le sue sei elegantissime suite. Un'esplosione di colori gioiosi - dal lilla al fucsia al glicine-, di arredi d'epoca, scelti con cura, di dettagli pregiati come i lampadari di Murano e le ceramiche artigianali.
La palazzina antica, di fine Ottocento, tinteggiata di rosa pastello, è stata completamente ristrutturata: al piano terra c'è il ristorante con le cucine, il secondo piano e la mansarda sono stati destinati agli ospiti, ai viaggiator di gusto e di charme.
Sei stanze, tutte diverse e coloratissime. Belle, decorate con grande gusto, con bagni che sembrano piccoli salotti e dettagli di atmosfera. "La prima colazione sarà Alla Don Alsonso - avverte Livia - con prodotti nostri, della tradizione di una volta, come la ricotta fresca di fuscella, il pane con il pomodoro, le confetture fresche".
In giardino c'è ancora molto da fare, le piogge di questi giorni sono state impietose, a luglio ci sarà anche una piccola piscina. Intanto nelle cucine la brigata è già al lavoro, quattordici tra cuochi e pasticceri, con un'unica presenza femminile.
Si chiama Hayley Stvens, ha solo 23 anni e viene da New York ad imparare i segreti della cucina mediterranea. Anche il ristorante apre domani, ma la cucina - eh che cucina, tutta in acciaio, con fuochi ad induzione, e alle pareti maioliche della tradizione dipinte a mano - è in piena attività: c'è chi taglia, chi spezza la pasta a mano, chi impasta dolci, chi affetta ortaggi. "Facciamo delle prove, sperimentiamo dei piatti nuovi" spiega Luigi Tramontano, sous chef ovvero chef in seconda.
Nodino di manzo in crosta di sale e curcuma, pacchero con le fave, con tonno o alici - si vedrà - e poi un dessert al the verde con mele e pere. Ernesto, il figlio di Alfonso e Livia, sovrintende il tutto.
Sarà lui ad assaggiare i piatti cucinati dalla brigata e a decidere se andranno o meno in carta.

fonte: repubblica.it
 

Articolo del 30/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 5061 Volte

difiorefotografi - Caserta: la reggia, il palazzo. la storia. Lo scalone. Reportage - Sposi



La reggia fu terminata nel 1780, risultando un grandioso complesso di 1200 stanze e 1790 finestre, per una spesa complessiva di 8.711.000 ducati.
Nel lato meridionale, il palazzo è lungo 249 metri, alto 37,83, decorato con dodici colonne. La facciata principale ha 26 colonne poste fra una finestra e l'altra. Nel complesso, la reggia ricopre un'area di ben 47.310 metri.
Oltre alla costruzione perimetrale rettangolare, il palazzo ha, all'interno del rettangolo, due corpi di fabbricato che s'intersecano a croce e formano quattro vasti cortili interni di oltre 3.800 metri quadrati ciascuno. Accanto al portone centrale sono ancora visibili i basamenti sui quali dovevano essere poste le statue della Giustizia, della Magnificenza, della Clemenza e della Pace, virtù attribuite al re.
Oltre la soglia dell'entrata principale alla reggia si apre un vasto vestibolo ottagonale del diametro di 15,22 metri, adorno di venti colonne doriche.
A destra e a sinistra si aprono i passaggi che portano ai cortili interni, mentre frontalmente un triplice porticato immette al centro topografico della reggia. In fondo, un terzo vestibolo dà adito al parco. Su un lato del vestibolo ottagonale si apre il magnifico scalone reale, un autentico capolavoro di architettura tardo barocca, largo 18,50 metri e dotato di 117 gradini, immortalato in numerose pellicole cinematografiche.
La sala più ricca e suggestiva del palazzo è senz'altro la Sala del Trono, il luogo dove il re riceveva ambasciatori e delegazioni ufficiali, in cui si amministrava la giustizia del sovrano e si tenevano i fastosi balli di corte. Una sala lunga 36 metri e larga 13,50, ricchissima di dorature e pitture eseguite da Gaetano Genovese, che vi lavorò nel 1845. Intorno alle pareti corre una serie di medaglioni dorati con l'effigie di tutti i sovrani di Napoli, da Ruggero d'Altavilla a Ferdinando II di Borbone, poi un'altra serie con gli stemmi di tutte le province del regno, mentre nella volta domina l'affresco che ricorda la cerimonia della posa della prima pietra.
Tra le sale di maggior pregio visibili al pubblico spiccano il salone di Alessandro (con marmi provenienti dal tempio di Serapide a Pozzuoli e i troni di Gioacchino Murat e Carolina Bonaparte), le sale dedicate alle Quattro Stagioni, lo studio e la camera da letto di Ferdinando II e quella di Murat, la Biblioteca Palatina, la pinacoteca, la camera del Consiglio e la Sala Ellittica che ospita un fulgido esempio di presepe napoletano.
Notevole poi il piccolo e raffinato Teatro di Corte collocato all'interno del palazzo e caratterizzato da una pianta a ferro di cavallo; fu inaugurato nel 1769 alla presenza di Ferdinando I delle Due Sicilie. Infine, di fronte allo scalone monumentale del vestibolo si apre una grande cappella, ispirata a quella della Reggia di Versailles; questo spazio, definito da un'elegante teoria di colonne binate, è stato danneggiato durante la seconda guerra mondiale e quindi restaurato.

fonte : wikipedia
 

Articolo del 29/03/2008 Pubblicato in attualità Letto 1543 Volte

"La fotografia ha vent'anni di più" La capostipite all'asta da Sotheby's



La celebre casa d'aste batterà il 7 aprile a New York un "disegno fotogenico" che risalirebbe a fine Settecento "La fotografia ha vent'anni di più"

La capostipite all'asta da Sotheby's
di MICHELE SMARGIASSI

"La fotografia ha vent'anni di più"

La capostipite all'asta da Sotheby's SE SOTHEBY'S ha visto giusto, bisognerà retrodatare l'invenzione della fotografia almeno di un ventennio. La celebre casa d'aste batterà il 7 aprile a New York un'immagine che potrebbe essere anteriore alla più antica fotografia finora conosciuta. Si tratta di un "disegno fotogenico", ovvero della traccia impressa da un oggetto, in questo caso una foglia d'albero, su un foglio di carta sensibile esposto alla luce. Anonimo, assieme ad altri cinque foglietti simili è stato per anni attribuito all'inglese William Henry Fox Talbot, l'inventore del processo negativo-positivo, e datato 1839.
Ma la scoperta di una piccola "W" scritta a inchiostro in un angolo ha suggerito a Larry Schaaf, lo storico della fotografia e studioso di Talbot consultato da Sotheby's, che potrebbe trattarsi del prodotto di uno degli esperimenti condotti a partire dall'ultimo decennio del Settecento da Thomas Wedgwood (morto nel 1805), industriale britannico della ceramica, assieme agli amici Humphry Davy e James Watt.
Quegli esperimenti, noti alle storie ufficiali della fotografia, sono però sempre stati archiviati come insuccessi: i tre amici riuscirono sicuramente a ottenere le tracce di oggetti, ma non riuscirono a fissarle, cioè a impedire che la luce continuasse a impressionare i sali d'argento fino a rendere i fogli uniformemente neri.
Questa foglia rossastra potrebbe invece dimostrare che almeno in qualche caso Wedgwood riuscì a bloccare l'annerimento e a conservare un'immagine "non prodotta da mano umana". Il fatto che la proto-fotografia provenga dalla collezione della famiglia Bright, buoni conoscenti dei Wedgwood, offrirebbe un altro importante indizio di attribuzione. L'ipotesi lanciata dalla casa d'aste sta mettendo a rumore l'ambiente degli studiosi. Il primo tentativo riuscito di creare un'immagine stabile grazie alla sola azione della luce è considerato quello di Joseph Nicéphore Niépce, modesto inventore francese che nel 1826, a Chalon Sur Saône, riuscì a duplicare "per contatto" una litografia del cardinale d'Amboise, e nello stesso anno anche a catturare su una lastra spalmata di bitume di giudea, sul fondo di una camera oscura, una veduta dalla finestra della sua casa di campagna: l'immagine che, fortunosamente ritrovata nel 1952 dallo storico Hermut Gernsheim, è ora comunemente considerata "la prima fotografia del mondo".
L'invenzione della fotografia fu però resa nota pubblicamente solo nel 1939, Niépce ormai defunto, dal suo socio Daguerre che finì per darle il suo nome, dagherrotipo.
Per riscrivere il primo capitolo della fotologia, gli storici però reclamano prove più scientifiche della semplice attribuzione indiziaria: esami della carta in cerca di filigrane che la rendano databile, maggiori accertamenti sulla provenienza dell'immagine. Interpellato dai colleghi, Shaaf difende la sua ipotesi, anche se concorda sull'esigenza di ulteriori verifiche: "E' un'immagine graziosa ed affascinante, se dovesse rivelarsi autentica cambierebbe non la storia ma solo la storiografia. Non c'è stato tempo per approfondimenti perché Sotheby's non ha ritenuto di rinviare la vendita, spero che il prossimo proprietario autorizzi indagini più precise. Ma come storici dobbiamo essere aperti ad accogliere l'emergere di informazioni inedite".
Proposta inizialmente su una base d'asta tra i 100 e i 150 mila dollari, ora la proto-fotografia, ammette la direttrice della casa d'aste Denise Bethel, potrebbe "valere molto di più". Speculazione o scoperta? Per il momento, nessuno sembra aver sottolineato un'altra conseguenza, questa politico-diplomatica, dell'eventuale riscrittura della storia: la paternità della scoperta che ha aperto la strada alla civiltà dell'immagine di massa passerebbe dalla Francia alla Gran Bretagna.

fonte: repubblica.it
 

Articolo del 29/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 1696 Volte

Difiorefotografi - Napoli, Ercolano: Santuario di S. Maria a Pugliano. Le origini. Ingresso sposa.



Le origini del Santuario di S. Maria a Pugliano.


L’attuale zona di Pugliano, dove oggi è ubicato il Santuario, era nell’antichità un fitto bosco, parte integrante della macchia mediterranea che ricopriva le pendici del Vesuvio. Tra la montagna e il mare era, allora, un ininterrotto susseguirsi di filari di pini, una stupenda distesa di prati e di fiori, talché il celebre Plinio poteva entusiasticamen­te affermare che la natura si era compiaciuta di far mostra in un solo luogo di tutta la sua bellezza (Plin. N. H. :111, V, 40). Ma, in seguito all’eruzione del 79 d. C., un'immane colata di fango e di materiale piroclastico seppellì Ercolano e trasformò totalmente 1'aspetto dei luoghi intorno al monte.
Anche il nostro bosco fu travolto da quella spaventosa alluvione. Spogliato degli alberi e di ogni altro elemento vegetativo, divenne una spianata ricoperta di fango e di cenere. Su questo strato composito fu poi costruito un oratorio dedicato alla Vergine, nucleo originario di quel tempio di Pugliano, a proposito del quale così scrive il Rosini: “ Positum est in veteri terra (ita enim aggestos cineres Tito aevo e monte effusos no­minant”) (Rosini,1797 : cap. IV, n. 14, pag. 24 Una tavola incisa e dipinta all'acquatinta, tratta dal Voyage pittoresque ou description desRoyaumes de Naples et de Sicile del famoso abate Saint - Non, mostra un'eccellente ricostruzione del « bosco supra Resina » che circonda l' oratorio.
Non sappiamo quanto tempo il bosco (con 1'oratorio) seppe resistere alle successive e frequenti eruzioni del vulcano, ma è certo che nell'undicesimo sec. il santuario di Pugliano sorge al centro dell'attuale piazza in tutta la sua maestà.
L'ubicazione del tempio, isolato sulla collina ed esposto continuamente alle insidie del Vesuvio, appare evidente in tutta una serie di disegni, incisioni e vedute del XVII e XVIII secolo.

fonte: www.smapugliano.it
 

Articolo del 28/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 6390 Volte

difiorefotografi - Köln-Cologne - the Kölner Dom.



Der Kölner Dom, offizieller Name Hohe Domkirche St. Peter und Maria, ist eine römisch-katholische Kirche in Köln und die Kathedrale des Erzbistums Köln. Die Kirchenpatrone sind Simon Petrus und Maria, die Mutter Jesu. Der Kölner Dom ist mit 157 Metern Höhe nach dem Ulmer Münster die zweithöchste Kirche in Deutschland sowie die dritthöchste der Welt. Er steht an der nördlichen ehemaligen römischen Stadtgrenze in direkter Nachbarschaft des heutigen Hauptbahnhofs, der Altstadt, Hohenzollernbrücke und Museum Ludwig und ist von einer modernen Betonkonstruktion, der so genannten Domplatte, umgeben. Vom rund 250 Meter entfernten Rhein und vom Hauptbahnhof aus ist die Lage der Kathedrale auf dem so genannten Domhügel, rund 17 m über dem Rhein, noch zu erahnen. Der Kölner Dom ist die weltweit drittgrößte Kathedrale im gotischen Baustil (nach der Kathedrale von Sevilla und dem Mailänder Dom). Viele Kunsthistoriker sehen in ihm eine einmalige Harmonisierung sämtlicher Bauelemente und des Schmuckwerks im Stil der mittelalterlich-gotischen Architektur verwirklicht. Der Kölner Dom wurde 1996 in die Liste des Weltkulturerbes aufgenommen. Die riesige Fläche der Westfassade mitsamt den beiden Türmen von über 7.100 Quadratmetern ist bis heute nirgendwo übertroffen worden. Von 1880 bis 1884 war er das höchste Gebäude der Welt. Er ist zudem die populärste Sehenswürdigkeit Deutschlands: 2001 wurden fünf Millionen, 2004 sechs Millionen Besucher aus aller Welt gezählt. Im Jahr 2005 besuchte Papst Benedikt XVI. anlässlich des Weltjugendtages 2005 den Dom.

Antike und frühmittelalterliche Architektur. Bei Ausgrabungen unter dem Dom wurden Reste römischer Wohnhäuser des 1.– 4. Jahrhundert gefunden. Im späten 4. oder im 5. Jahrhundert entstand unter dem Chor des heutigen Domes ein 30 bis 40 Meter langer Apsidenbau, vielleicht schon eine erste Kirche. Abgelöst wurde dieses Gebäude noch im 5. oder spätestens im frühen 6. Jahrhundert durch eine ähnlich dimensionierte Architektur, in die in den 530er Jahren reiche fränkische Fürstengräber eingebracht wurden. Diese Gräber sind ein Indiz für die kirchliche Nutzung von Bau 2. In der zweiten Hälfte des 6. Jahrhunderts entstand eine neue Kirche, die archäologisch durch ihre schlüssellochförmige Kanzel (Ambo) erkennbar ist und die älteren Anlagen überdeckte. Durch Erweiterung in Richtung Westen entwickelte sich diese Kirche etwa bis zur Größe des nachfolgenden Alten Domes und bestand wohl bis etwa um 800. Aus dem 6. Jh. befinden sich östlich des heutigen Domchores noch die Überreste eines frühchristlichen Baptisteriums (ein von einer Kirche abgetrennter Taufraum). Erhalten ist das achtseitige Taufbecken (Taufpiscina). Das Baptisterium selbst war rechteckig und in einer zweiten Bauphase kreuzförmig. Die letzte Bauphase war wiederum rechteckig und über zwei seitliche Gänge mit der Kirche verbunden. Wahrscheinlich wurde das Baptisterium im 9. Jahrhundert beim Bau des alten Domes abgerissen und durch einen in der Kirche aufgestellten Taufstein ersetzt.

Der Alte Dom. Der Alte Dom ist der unmittelbare Vorgängerbau des heutigen Domes. Er wurde am 27. September 873 geweiht. Erzbischof Hildebold war zu dieser Zeit bereits seit langem verstorben. Als Bauherr und als Stifter kommt er vielleicht noch für Teile der dem Alten Dom vorausgehenden letzten Umbauphase des Domes aus der Merowingerzeit in Frage, insbesondere für dessen Westteil mit dem sogenannten St. Galler-Ringatrium. Vielleicht war er aber auch tatsächlich Begründer des Alten Domes der nach den archäologischen Quellen ab 800 entstanden sein könnte. Der Alte Dom verfügte über ein Langhaus, das an beiden Enden durch Querhäuser begrenzt wurde. Er war Vorbild für viele in seiner Zeit in Europa entstandenen Kirchen und beherbergte so bereits das im 10. Jahrhundert entstandene Gerokreuz, das zweitälteste erhaltene Monumentalkruzifix des Abendlandes. Im Jahre 1248 wollte man den Alten Dom nach und nach abreißen, um mit dem Bau des neuen gotischen Domes beginnen zu können. Jedoch brannte bei dem Versuch, nur den Ostchor mit Brandabbruch niederzulegen, 1248 beinahe der gesamte Bau ab. Die Westteile wurden provisorisch wiederhergestellt, damit man in ihnen Messen feiern konnte. Noch im selben Jahr wurde mit dem Bau des heutigen Kölner Domes begonnen.

Der neue Dom. 1164 brachte der Kölner Erzbischof Rainald von Dassel die Reliquien der Heiligen Drei Könige von Mailand nach Köln. Sie waren ein Geschenk des Kaisers Friedrich I. an seinen Reichskanzler aus dessen Kriegsbeute. Diese Reliquien führten um 1225 zu dem Plan, einen neuen Dom zu bauen - die alte Kathedrale war dem enormen Pilgeransturm nicht mehr gewachsen und schlichtweg zu klein geworden. Der gotische Bau wurde am 15. August 1248 nach einem Plan des Dombaumeisters Gerhard von Rile begonnen. Als Baumaterial wurde vor allem das Trachyt aus dem Siebengebirge verwendet. Vorbild war die Kathedrale von Amiens. Nachdem Köln 1288 in Folge der Schlacht bei Worringen de Facto freie Reichsstadt wurde, war der Dom zwar noch der nominelle Sitz des Erzbischofs, jedoch betrat dieser seine Kathedrale nur relativ selten. Dies tat dem Baufortschritt jedoch zunächst keinen Abbruch, da Bauherr nicht der Erzbischof, sondern das Domkapitel war. Die Weihe des Chors erfolgte 1322. 1410 erreichte der Südturm das zweite Geschoss, bald darauf konnte die erste Glocke im hölzernen Glockenstuhl aufgehängt werden (die „Dreikönigenglocke“ von 1418). Gegen Ende des 15. Jahrhunderts ließ die Bauintensität zunehmend nach. Um 1510 stellte man den Bau wegen Geldproblemen und Desinteresse ein, 1560 beendete das Domkapitel dann endgültig die Zahlungen zum Weiterbau. Über 300 Jahre bestimmte der unfertige Kölner Dom die Silhouette der Stadt. Bis 1868 befand sich auf dem bis dahin unvollendeten Südturm des Kölner Doms ein durch Treträder angetriebener Baukran aus dem 15. Jahrhundert. Aus dieser Zeit stammt wohl der ironische Kölner Ausspruch, dass, wenn der Dom einmal fertig sei, die Welt untergehe. 1814 wurde die eine Hälfte des 4,05 Meter großen überarbeiteten Fassadenplanes des zweiten Nachfolgers Gerhards, Dombaumeister Arnold, von Georg Moller in Darmstadt wiederentdeckt, die andere 1816 von Sulpiz Boisserée in Paris. Um die Wende zum 19. Jahrhundert lenkten außerdem Romantiker in ihrer Begeisterung für das Mittelalter das öffentliche Interesse erneut auf den unvollendeten Dombau, der zudem als Symbol für die deutsche Einheit in der sich verstärkenden Nationalbewegung Bedeutung erhielt. Neben anderen waren Joseph Görres und Sulpiz Boisserée die treibenden Kräfte für die Vollendung, so dass am 4. September 1842 durch den preußischen König Friedrich Wilhelm IV. und den Koadjutor und späteren Erzbischof Johannes von Geissel der Grundstein für den Weiterbau des Kölner Doms gelegt werden konnte. Der Stein wurde auf den noch unvollendeten Südturm hochgezogen und dort eingemauert. Friedrich Wilhelm IV: „ … Hier, wo der Grundstein liegt, dort mit jenen Türmen zugleich, sollen sich die schönsten Tore der ganzen Welt erheben …“. Auch finanziell beteiligte sich der Staat Preußen. Kurz vor der Grundsteinlegung hatte sich der Zentral-Dombau-Verein zu Köln gegründet, zu dessen wichtigsten Aufgaben das Sammeln von Geld für das Bauvorhaben zählte. Am 19. Oktober 1820 wurde ein Einbruch in den Kölner Dom bekannt, bei dem wertvolle Teile des Dreikönigsschreins herausgebrochen und entwendet wurden. 1880 wurde der Dom nach über 600 Jahren vollendet, getreu den Plänen der Kölner Dombaumeister des Mittelalters und dem erhaltenen Fassadenplan aus der Zeit um 1280. Allerdings sind die Fassaden des Querhauses eine Schöpfung des 19. Jahrhunderts, da hiervon keine mittelalterlichen Pläne vorlagen. Beim Bau wurden die modernsten Techniken, insbesondere für den Dachbau – eine neuzeitliche Eisenkonstruktion – und die Türme durch die Dombaumeister Ernst Friedrich Zwirner und Karl Eduard Richard Voigtel eingesetzt. Nach der Fertigstellung war der Dom acht Jahre lang mit 157,38 Metern das höchste Gebäude der Welt. Die verbaute Steinmasse beträgt ungefähr 300.000 Tonnen. Das Ende des Dombaus wurde am 15. Oktober 1880 mit einem Fest gefeiert, das Wilhelm I. als Mittel zur öffentlichen Repräsentation und als identitätsstiftendes Element des neun Jahre zuvor gegründeten Reiches nutzte. Allerdings fand das Fest in der Zeit des Kulturkampfs statt. Der amtierende Kölner Erzbischof befand sich in Verbannung und viele Mitglieder der Kölner Bürgerschaft blieben dem Empfang des protestantischen Kaisers fern.

Erhaltung. Größere Schäden erlitt der Dom während des Zweiten Weltkrieges unter anderem durch 70 Bombentreffer. Brandbomben wurden von Mitarbeitern, die im und auf dem Dom postiert waren, sofort gelöscht. Durch die Bombentreffer stürzten, unter anderem im Langhaus, einige Deckengewölbe ein, das Dach ist dank des eisernen Dachstuhls nicht eingestürzt. Die sogenannte Kölner Domplombe schützte jahrzehntelang den Nordturm vor dem Zusammenbruch. 1946 begannen die archäologischen Ausgrabungen durch Otto Doppelfeld, die bis 1997 andauerten. 1948 wurde der 700. Jahrestag der Grundsteinlegung in einem stark beschädigten Dom gefeiert. Ab 1956 erfüllte er seine Funktion für die Menschen wieder. Heutzutage sorgen vor allem Umwelteinflüsse für die Beschädigung des Doms. Saurer Regen zerfrisst den Stein und Abgase färben ihn dunkel. Deswegen kämpfen die Dombaumeister schon seit Jahrzehnten gegen den stetigen Zerfall durch massenhaftes Ersetzen von Verzierungen. Diese Besonderheiten sind von unten natürlich nicht erkennbar. Heute werden nur noch Standard-Kreuzblumen und andere Ornamente eingesetzt. So werden die steinernen Zeitzeugen bald für immer vom Kölner Dom verschwunden sein.

Weltkulturerbe. Der Kölner Dom wurde 1996 von der UNESCO als eines der europäischen Meisterwerke gotischer Architektur eingestuft und zum Weltkulturerbe erklärt. Am 5. Juli 2004 wurde er wegen der „Gefährdung der visuellen Integrität des Doms und der einzigartigen Kölner Stadtsilhouette durch die Hochhausplanungen auf der dem Dom gegenüberliegenden Rheinseite“ vom UNESCO-Welterbekomitee auf die Rote Liste des gefährdeten Welterbes gesetzt.[1] Bei Verhandlungen am 13. Juli 2005 auf der UNESCO-Konferenz im südafrikanischen Durban wurde die endgültige Entscheidung um ein Jahr vertagt. Den deutschen Behörden sollte die Möglichkeit gegeben werden, bis Ende 2005 Informationen über geplante Baumaßnahmen in Köln-Deutz einzureichen. Für die folgenden Jahre waren dort noch mehrere Neubauten geplant. Im Juli 2006 entschied das Welterbekomitee auf seiner 30. Tagung im litauischen Vilnius, den Kölner Dom aus der Liste des gefährdeten Welterbes zu streichen.[2] Damit wurde den geänderten Bauplänen für das rechtsrheinische Ufer Rechnung getragen; außer dem bereits fertiggestellten „KölnTriangle“ sollen dort keine weiteren Hochhäuser mehr entstehen.

fonte: www.wikipedia.org

 

Articolo del 28/03/2008 Pubblicato in attualità Letto 1589 Volte

Adobe Photoshop ora va online si chiama Express ed è gratuito.

L'azienda Usa presenta il suo servizio riservato a utenti non professionali per modificare e conservare le foto online Adobe Photoshop ora va online si chiama Express ed è gratuito



A disposizione 2 GB di spazio. Un'interfaccia innovativa di FRANCESCO CACCAVELLA

IL MERCATO delle applicazioni web 2.0, i software gratuiti che si usano grazie al solo browser, si arricchisce di un protagonista di lusso: Photoshop. Adobe, l'azienda statuntense che produce il noto software di fotoritocco, ha oggi aperto a chiunque la registrazione al servizio Photoshop Express, un'applicazione in grado di modificare, migliorare e pubblicare online fotografie digitali senza installare nulla sul proprio computer, semplicemente navigando con il browser sul sito dell'applicazione. Intendiamoci: Photoshop Express non sostituisce il software per desktop, da alcuni mesi disponibile nella versione CS3. Non offre livelli, funzioni di scontorno, modifica avanzata del colore e i molti strumenti indispensabili per grafici o fotografi professionisti.

Chi ha bisogno di tutto questo dovrà continuare a sborsare i circa 900 euro (più IVA) che servono per acquistare il programma completo. Gli amanti della fotografia digitale e chiunque non perde occasione per scattare foto di viaggi, eventi o riunioni di famiglia troverà invece semplici e utili le funzionalità di Express, ben integrate inoltre in un'interfaccia grafica d'effetto e molto reattiva che ricorda lo stile elegante delle ultime applicazioni di Adobe.
L'azienda, del resto, ha già mostrato di saper progettare eccellenti applicazioni web con Premiere Express, il servizio di modifica video integrato, tra gli altri, in Youtube.

Tutte le foto presenti nel servizio vengono organizzate in una libreria. Un doppio clic su una foto e si entra nella sezione di modifica. I controlli al lato permettono di ruotare la foto, ritagliarla oppure di clonare aree in modo da renderle più omogenee. Davvero comodi i controlli per correggere l'esposizione, la saturazione o per diverse altri ritocchi. Una volta selezionato il comando Express offre un set di immagini con diversi parametri di correzione: basca scorrerli ad uno ad uno per scegliere quello che meglio si addice all'immagine. Con un po' più di creatività si possono usare gli effetti: un tocco e la foto diventa in bianco e nero, virata in un colore preferito o mostrata come se fosse un disegno a matita. C'è anche l'onnipresente correttore degli occhi rossi.
Non vi preoccupare di aggiungere tutti gli effetti che volete: un pulsante chiamato Reset All permette di eliminare ogni effetti mentre il sistema mantiene in memoria ogni singolo passaggio permettendo di tornare indietro in ogni momento.
I 2 GByte di spazio che il servizio offre gratuitamente per la pubblicazione delle foto sono capaci di contenere fino a 2500 fotografie a media risoluzione, molte di più se la risoluzione scende e si perde un po' di qualità. Le foto possono essere organizzate in album e rese così visibili a chiunque in una galleria web, parzialmente personalizzabile, offerta gratuitamente sui server di Adobe. Se volete condividere solo una foto cliccate sul pulsante E-Mail Potho e il destinatario riceverà un link per poterle vedere. Il vantaggio di un software sul web è che questo può facilmente integrare servizi o funzioni di altri servizi. In Photoshop Express potrete collegarvi ad un account Facebook, Photobucket o Picasa e scaricare le foto lì conservate e modificarle direttamente nel servizio.
La funzione è bidirezionale: le foto possono poi essere inviate indietro al servizio così da tenere sincronizzati i ricordi digitali.
È naturalmente presente un sistema per caricare le foto dal computer ma ogni foto, solo in formato Jpeg, non può superare i 10 Mbyte di dimensione o i 4 mila pixel in altezza o larghezza. Se avete una fotocamera di oltre 10 megapixel significa che dovrete ridurre di un po' la risoluzione per permettere di lavorare con Photoshop Express.
Photoshop Express non è l'unico servizio del genere. Picnik, il suo principale concorrente, offre funzioni simili, è anche in italiano ed è già integrato come servizio predefinito in Flickr, il più noto servizio di pubblicazione di foto online. Picasa è il software di gestione foto di Google che, anche se basato sul Desktop, offre 1 GByte espandibili a pagamento per pubblicare le foto sul
Web. Express tuttavia offre un'interfaccia, al momento solo in inglese, molto innovativa e veloce e il nome di Adobe in tema di fotografie fa ben sperare in utili innovazioni.

fonte: repubblica.it
 

Articolo del 26/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 13161 Volte

difiorefotografi - Napoli, Torre del greco, colle s. Alfonso: Le damigelle. Reportage - Matrimonio

 

Articolo del 26/03/2008 Pubblicato in mostre Letto 2707 Volte

Napoli - Fotografo da Museo - Thomas Struth in mostra al Museo Madre, Napoli.

Il Fotografo Thomas Struth a Napoli dal 19 Gennaio al 28 Aprile 2008

" I più importanti musei del mondo sono la sua riserva naturale di caccia. Si diverte a nascondersi tra la folla di visitatori e a osservare le dinamiche schizofreniche di un mondo umano in balia del fascino dei capolavori dell'arte. Per poi immortalare i comportamenti di questi piccoli grandi fruitori della cultura di massa. Ed elaborando un ritratto sociologico dello spirito contemporaneo. E' Thomas Struth, uno dei più geniali fotografi di questa alba di terzo millennio, diventato celebre, non solo con riconoscimenti espositivi globali, ma anche con valutazioni da capogiro raggiunte dalle sue opere, con la serie delle "Museum Photographs", iniziata a partire dal 1989, con cui ha segnato la storia di una nuova tecnica e di un nuovo linguaggio nella fotografia. A lui il Museo Madre (Museo d'Arte Contemporanea Donna Regina) di Napoli dedica una vasta antologica dal 19 gennaio al 28 aprile, curata da Mario Codognato e da Ulrich Baer (ordinario di Storia e Letteratura tedesca della New York University).

Eppure, il pregio di questa rassegna sta tutta nel non favorire esclusivamente il tema blasonato dei suoi musei, che rimane di indubbio fascino, ma di ricostruire tutta la sua folgorante carriera creativa che non ha mai perso colpi. Thomas Struth si riconferma, dunque, uno dei massimi esponenti della fotografia contemporanea attraverso la visione ravvicinata di circa una cinquantina di lavori, alcuni di grandi dimensioni, che partono dai suoi esordi, alla fine degli anni Settanta - la sua prima personale fu a New York nel 1978 - dedicate al paesaggio urbano in bianco e nero. Un diario preciso e attento, che non scade mai nella vibrazione poetica, prediligendo l'eleganza della sobrietà, con cui documenta la storia delle città, il suo valore urbano, l'estetica del suo divenire, e annota l'interazione fenomenica tra i suoi abitanti all'interno delle realtà architettoniche. Il suo esordio non fu certo casuale.

Nato a Gelden, vicino a Colonia, nel 1954, si è formato all'Accademia di Belle Arti di Duesseldorf, ereditando un gusto tutto modernista di impronta concettualistica, se non addirittura minimalista per le immagini. Gli sono bastate la guida di Gerhard Richter per la pittura e quella di Bernd Becher per la fotografia per puntare il suo estro sull'uso essenziale dell'obiettivo fotografico, spingendosi verso scenari urbani in cui evidenziare il senso della collettività e della quotidianità. Ambienti saturi di un'atmosfera urbana che lasciassero trasparire non solo il confortevole fluire della vita ma anche la carica eversiva della modernità. La mostra cavalca, quindi, la sua apoteosi creativa, quella che lo ha caratterizzato in maniera universale, che lo ha trasformato letteralmente nel magister di una scuola nuova: la serie di celebri immagini in cui Thomas Struth ritrae i visitatori intenti a contemplare le opere all'interno dei musei. Sono tutte opere di grande formato, a colori, dove l'effetto sovradimensionato sembra trasfigurare l'abituale fruizione della fotografia per aprire nuove percezioni psicologiche nel visitatore.

E' un gioco teatrale spettacolare, da applauso. Quello che poteva essere un intento documentario di ambienti museali diventa letteralmente una messinscena. Thomas Struth può immortalare le sale del museo con i suoi capolavori universali, coinvolgendo gli stessi visitatori, che diventano anche loro elementi perfettamente integrati con l'ambiente circostante, in una sorta di teatralità silenziosa, dove il turista appare trasfigurato in una comparsa della scena. Ma Struth può anche avvicinarsi di più alle persone, colte nel momento in cui contemplano l'opera d'arte. Ed è questo il suo segno più arguto e innovativo, scegliendo di ritrarre frontalmente la gente che guarda, vista come dal punto di vista dell'opera: quasi uno studio psicologico dei modi di guardare e di recepire l'arte di persone di diverse età, sesso e provenienza sociale. Struth punta così a ritrarre la condizione esistenziale dell'uomo confrontato con la propria immagine nell'opera d'arte. Ecco, allora, ritrovare nelle sue immagini folle di individui nelle più svariate attività: possono ammirare estatiche l'opera, possono ascoltare la guida, possono distogliere l'attenzione e osservare altre persone.

E' un saggio sull'osservazione, sull'osservare e sull'essere scrutati. Ma la mostra registra anche le altre indagini tematiche - Struth lavora principalmente per serie - quelle legate alle chiese e ai luoghi sacri, dove il fotografo trasfigura la monumentalità architettonica e spaziale, profusa di valori cromatici, nella superficie invasiva di un "pattern" decorativo, come ad esempio realizza con la facciata del Duomo di Milano. Chicca della rassegna napoletana è, poi, la presenza dei suoi cosiddetti "Paradisi", scatti fotografici che ritraggono luoghi dove l'uomo non ha mai o ha raramente messo piede. Qui scorre l'altro tema caro a Thomas Struth, quello della natura, dei territori incontaminati, delle foreste amazzoniche, di una natura, insomma, che è prima attrice assoluta in una dimensione parallela alla realtà urbana, un mondo senza tempo, sospeso in una grandiosità sconosciuta e silenziosa. Un tema spiazzante che appare opposto a tutta quella civiltà fatta di arte, di città e architetture finora percorse. D'altronde, l'essenza di questa fotografia la indica lo stesso Struth quando dichiara che "cerco un dialogo tra passato e presente e la possibilità di cercare uno spazio di quiete nel nostro mondo frenetico".

Notizie utili - "Thomas Struth", dal 19 gennaio al 28 aprile, Museo Madre, Via Settembrini, 79. Napoli. La mostra è curata da Mario Codognato e da Ulrich Baer.

Orari: dal lunedì al venerdì, 10 - 21, sabato e domenica 10 - 24. Chiuso: martedì.

Ingresso: Intero: € 7.00, ridotto: € 3.50. Audioguide € 4.00

Informazioni: tel. 081-19313016 (lunedì - domenica: ore 10.00 - 20.00)

Sito Internet: www.museomadre.it

Catalogo: Electa. "

fonte: www.kataweb.it

 

Articolo del 25/03/2008 Pubblicato in attualità Letto 2501 Volte

Poeta Massimo, in uscita il 4 aprile 2008 un disco con Canzoni di Massimo Troisi e Enzo De Caro.

Da Repubblica.it – 23 Marzo 2008.

In un bell’articolo, pubblicato su Repubblica.it, si parla della prossima uscita di una raccolta di canzoni del compianto e amatissimo attore Napoletano di San giorgio a Cremano. Uscirà il 4 Aprile, infatti, il disco “Poeta Massimo”, un omaggio dell’attore Enzo Decaro all’amico scomparso.

Silvana Mazzocchi scrive: “Versi fatti riemergere trent'anni dopo con quella gioia sofferta e discreta che solo una grande amicizia permette. Dodici canzoni scritte da Massimo Troisi insieme con Enzo Decaro nel 1975, all'inizio del loro sodalizio artistico, prima del grande successo toccato alla Smorfia, quando il trio Troisi-Arena-Decaro conquistò la notorietà grazie alla radio e alla tv. Dodici poesie, rimaste finora sconosciute, che Troisi aveva musicato con il suo amico chitarrista Vincenzo Purcaro (in arte Decaro). Una sfida lanciata con ironia e dedizione, in una stagione lontana intrecciata di passioni, speranze e utopie. Il disco, Poeta Massimo, in uscita il 4 aprile, verrà presentato in contemporanea al ministero dei Beni culturali. "Eravamo due ragazzi che cercavano la loro strada. E le canzoni, la musica erano una delle tante possibili. Ci vedevamo dove capitava, Massimo buttava giù un'idea e se ne parlava, se ne discuteva". “

Nell’articolo completo, l’intervista con Decaro e tutti i dettagli sul disco e sulla nascita dell’idea.

 

Articolo del 25/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 1827 Volte

difiorefotografi - Napoli, Torre del greco, colle s. Alfonso: I pagetti. Reportage - Matrimonio

 

Articolo del 24/03/2008 Pubblicato in attualità Letto 1390 Volte

Dal 22 marzo al 13 aprile la splendida fioritura nell'Isola Madre. Giardini delle camelie aperti per l'esplosione della primavera.

Dal 22 marzo al 13 aprile la splendida fioritura nell'Isola Madre Sarà possibile ammirare e fotografare anche varietà oggi estinte Giardini delle camelie aperti per l'esplosione della primavera.
 di SARA FICOCELLI

Giardini delle camelie aperti
per l'esplosione della primavera

ISOLA MADRE, LAGO MAGGIORE - Insieme alla rosa è il fiore più romantico e profumato, nel linguaggio botanico è sinonimo di "perfetta bellezza" e "superiorità non esibita" e in genere si regala in segno di stima. La camelia dal 22 marzo al 13 aprile sarà la protagonista di un'esplosione di colori nei giardini dell'Isola Madre, di proprietà della famiglia Borromeo, la più grande dell'arcipelago del Lago Maggiore.

Da una varietà di camelia si estrae il té verde. Ed è pensando alla camelia che Alexandre Dumas scrisse il suo libro più scandaloso (La signora delle camelie appunto), da cui ebbe origine la moda di usarne una come ornamento di generose scollature. La camelia, che nel 1848 tanto colpì lo scrittore francese, già venti anni prima aveva fatto innamorare Giberto V Borromeo e suo figlio Vitaliano IX, che decisero di introdurla nel giardino dell'Isola. Anni di lavoro hanno portato mani esperte a ottenere circa 500 varietà diverse, tanto che la Madre è stata poi definita "isola delle camelie".
Trattandosi di un parco storico, alcuni esemplari hanno assunto con il tempo le dimensioni di veri e propri alberi. Per quanto riguarda i giardini aperti al pubblico, sono oltre 150 le varietà che per tre settimane si potranno annusare, fotografare, filmare e ammirare, compresa l'antica Pink Rosea.
Gli appassionati di tecnologia potranno riprendere i fiori e inviare le immagini al sito delle Isole Borromee: le più belle saranno messe on line, con il nome del loro autore e la data in cui è stata documentata la fioritura. Tra fiori recisi e foglie di tè, si potrà finalmente rivedere la Hagoramo, una antichissima varietà originaria del Giappone, in lingua originale "franklinia alatamaha", ovvero "abito di piume".
Questa specie è ormai estinta in natura e si può trovare solo qui; i giardini ospitano anche le specie Camelia Cuspidata, Saluensis, Salicifiglia e Transnokoensis. Le camelie, originarie di Cina e Giappone, furono importate in Europa da G. J. Camel a partire dalla seconda metà del '700, ma la pianta raggiunse vera popolarità solo un secolo dopo, grazie al libro di Dumas.
Da allora il suo successo è stato consacrato più volte: Madame Chanel ha insegnato a portarla sui suoi tailleur e negli anni '30 non c'era giardino che non ne avesse una.
Questo fiore meraviglioso non poteva che trovare dimora qui, su un'isola nobile, tra le acque serene di un lago. Un'isola definita da Gustave Flaubert "il luogo più voluttuoso del mondo" per la sua atmosfera raccolta, quasi incantata. Un giardino di piante rare e fiori esotici, nel quale vivono in libertà pavoni, pappagalli e fagiani, rendendo a pieno il fascino di una terra tropicale. Oltre alle camelie, l'isola è famosa per la fioritura di azalee, rododendri e per i pergolati di glicini antichissimi.

fonte : repubblica.it
 

Articolo del 24/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 1728 Volte

difiorefotografi - Napoli, S. Agnello: La fontana nella villa comunale. Reportage - Sorrento

 

Articolo del 23/03/2008 Pubblicato in attualità Letto 1347 Volte

difiorefotografi - Portici: Buona Pasqua a tutti.

 

Articolo del 22/03/2008 Pubblicato in mostre Letto 2134 Volte

A Padova il paesaggio ripreso dall'obiettivo dei grandi fotografi - Mostra fotografica.

Dal 22 marzo al 31 maggio la quarta edizione della rassegna "Padova Aprile Fotografia" Dai panorami alpini agli scorci urbani, cinque mostre con artisti italiani e internazionali.

A Padova il paesaggio ripreso
dall'obiettivo dei grandi fotografi


Mario Lasalandra PADOVA - La natura e le città, la loro bellezza e i loro cambiamenti visti attraverso l'occhio di grandi fotografi. Da domani al 31 maggio torna "Padova Aprile Fotografia", con cinque mostre di alto livello ospitate in sedi storiche della città veneta.
La quarta edizione della rassegna, intitolata "Passaggi/paesaggi 2", ripercorrerà l'opera di alcuni artisti di spicco come il tedesco Joseph Beuys e lo svizzero Albert Steiner, ma proporrà anche gli scatti di giovani fotografi contemporanei.
Il ricco programma comprende quattro mostre personali e una collettiva, che apriranno al pubblico in date diverse ma che saranno tutte legate da un unico filo conduttore: il paesaggio. "E' una tematica di particolare profondità ed è per questo che lo abbiamo scelto", dice Enrico Gusella, ideatore della rassegna insieme ad Alessandra De Lucia. "Lo sguardo del fotografo è fondamentale per capire l'ambiente e la realtà urbana ed il loro sviluppo". "Padova Aprile Fotografia", promossa dall'Assessorato alle Politiche culturali e Spettacolo - Centro nazionale di fotografia del Comune di Padova, partirà con l'inedita "Buby Durini for Joseph Beuys".
Dal 22 marzo al 4 maggio la mostra presenterà, attraverso le foto dell'amico e collaboratore Buby Durini, i lavori e il pensiero di questo eclettico artista, filantropo e sostenitore dei movimenti ambientalisti, che fu tra i protagonisti dell'arte contemporanea d'avanguardia sin dagli anni Sessanta. All'interno dei Musei Civici agli Eremitani, a quattro passi dalla celebre Cappella degli Scrovegni, saranno esposte in particolare fotografie che sono parte integrante dell'operazione "Difesa della Natura", uno dei capolavori di Beuys: un progetto affascinante sviluppato negli ultimi anni della sua vita e legato all'ecologia e alla difesa dell'uomo e della creatività.
Agli splendidi panorami montani della Svizzera sarà invece dedicata la retrospettiva su Albert Steiner "Del paesaggio sublime", in programma al Museo Civico di Piazza del Santo dal 29 marzo al 18 maggio. Nato nel 1877, il fotografo svizzero è ricordato in particolare per le straordinarie immagini delle Alpi, nelle quali è facile trovare riferimenti ai quadri di Giovanni Segantini e Ferdinand Jodler.
A Padova saranno esposte un'ottantina di fotografie, che oltre alla bellezza del paesaggio trasmettono anche l'amore del loro autore per la natura vista come risorsa di spiritualità. Ai fotografi italiani sarà poi riservata la collettiva "Passaggio a Nord Est", allestita alla Galleria Cavour dal 6 aprile al 18 maggio. L'esposizione proporrà le opere di 25 autori nazionali, appartenenti a generazioni diverse e caratterizzati da percorsi personali e formazioni differenti. Ma se l'eterogeneità delle fotografie, che spazieranno dal bianco e nero ai colori accesi e dalla campagna alle industrie, sarà un elemento caratteristico, nelle intenzioni degli organizzatori a emergere sarà il paesaggio come fonte di ispirazione per tutti gli artisti.
Lo stesso giorno aprirà anche la personale "Paesaggi Urbani: transiti e differenze" di Alexandre Marchi. Nelle Scuderie di Palazzo Moroni, dal 6 al 30 aprile, sarà presentata una selezione di una cinquantina di scatti a colori di questo giovane fotoreporter francese. Da Nancy a New York, da Londra al Marocco e a Malta, il tema centrale sarà la dimensione urbana, rappresentata in immagini nitidissime dalle quali traspare lo spirito dei luoghi ritratti. Infine, dal 7 aprile al 31 maggio, la Galleria Sottopasso della Stua sarà la sede della mostra "Diagonale d'Oriente" di Davide Bramante.
In dodici foto di medio e grande formato sarà proposto un originale viaggio attraverso l'Italia, da Siracusa a Padova, fatto seguendo per 30 giorni una linea tracciata dall'autore sull'atlante. Le opere, scattate con una tecnica fotografica che utilizza doppie e multiple esposizioni per sovrapporre più scatti nello stesso fotogramma, collegano così l'Etna, Ischia, Urbino, Ravenna e gli altri luoghi attraversati dall'artista.


fonte: repubblica.it
 

Articolo del 22/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 4751 Volte

difiorefotografi - Napoli, Ravello: matrimonio all'aperto. Reportage - Wedding



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Articolo del 21/03/2008 Pubblicato in attualità Letto 2131 Volte

Liceo Ginnasio Sannazaro - Napoli: laboratorio di produzione audiovisiva guidato dal prof. Massimo Albin.

CPVS TVNET Liceo Ginnasio Sannazaro - Napoli

 
Da diversi anni è attivo al liceo Sannazaro un laboratorio di produzione audiovisiva guidato dal prof. Massimo Albin, che dalla fine del 2005 ha iniziato a mettere in rete i propri materiali.
 

Articolo del 21/03/2008 Pubblicato in attualità Letto 1136 Volte

You Tube Oscar: Assegnati gli Awards... Bellissimo.




You Tube Oscar e il vincitore è senza nome...
Assegnati gli Awards, decine di milioni di voti. La star è un bimbo che ride; grande sconfitta, nella sezione politica, Obama Girl
. Guarda tutti i video.
 

Articolo del 21/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 3864 Volte

difiorefotografi - Napoli, Torre del greco: Chiesa S. Antonio dei Brancaccio. Fotografi - Napoli




Chiesa di S. Antonio dei Brancaccio


Il dott. Antonio Agostino Brancaccio, nato nella nostra città nel 1837, fu valente medico, membro di vari Congressi medici, amministratore sagace e onestissimo al comune per diversi anni come Sindaco, Consigliere e poi Deputato provinciale, Direttore dell'Ospedale succursale degli Incurabili di Napoli sito al Miglio d'Oro, Presidente del Consiglio direttivo della Scuola d'Incisione sul Corallo, Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, Commendatore della Corona d'Italia.
Sinceramente cristiano, fu buono e pio nei sentimenti e nelle opere.

Morto fra il compianto generale della cittadinanza il 9 marzo 1899 nella sua villetta posta alla sommità di via Sedivola, sua moglie donna Agnese Ascione, pia e buona anch'essa, volle onorarlo erigendo, a sue spese e su terreno proprio, accanto alla villa, una chiesa, che mancava ancora nella zona, da dedicare a S. Antonio di Padova, di cui il caro scomparso portava il nome.
Diede allora l'incarico della costruzione al nipote Giuseppe Ascione, figlio di suo fratello Giovanni, e questi chiamò il prof. Enrico Taverna, Direttore della Scuola del Corallo, che approntò il progetto. La chiesa, nata come atto d'amore, venne consacrata il 3 giugno 1902 da mons. Antonio Scotti, già vescovo di Piedimonte d'Alife, allora residente nella nostra città.
Di proprietà della famiglia Ascione, ebbe di volta in volta come rettori tre nipoti sacerdoti della stessa donna Agnese, cioè don Francesco Villani, don Ulrico Ascione e don Antonio Ascione. Nel 1945 essa fu eretta a parrocchia, passando alla diretta amministrazione della Curia Arcivescovile di Napoli e primo parroco fu lo stesso don Antonio; gli è succeduto poi l'attuale, don Carmine Ascione, che non è della stessa famiglia della fondatrice, ma soltanto un omonimo.
La chiesa è in quello stile gotico revival o rinascente che, rifacendosi all'originario già fiorito nel Medio Evo, fu in voga a metà del secolo scorso in Europa, soprattutto in Inghilterra e in Francia. Perfetto, perciò, è il suo verticalismo, sia nella facciata che nell'interno ad una sola navata, con le arcate ogivali, le finestre bifore illeggiadrite da vetrate colorate ove sono dipinti bianchi gigli.

L'altare in marmo grigio ha dei bronzi raffiguranti il mistero eucaristico ed è sormontato da una grande urna che racchiude la statua del Santo di Padova, opera del prof. Dantino di Torino, amico del Taverna. In una parete del presbiterio sono murati i resti mortali di don Antonio Brancaccio e di donna Agnese, qui traslati dalla cappella gentilizia del cimitero comunale il 12 dicembre 1963. L'epigrafe latina apposta sul muro ricorda che il Brancaccio "inaestimabilis scientiae ac animi sui thesauros in egenos aegrosque profuduit, civium magister plurimos permansit honestissimus honoratusque annos" (profuse gli inestimabili tesori della scienza e dell'animo suo ai bisognosi e ai malati, e come sindaco per diversi anni rimase onestissimo e onorato).
Annesso alla chiesa è il palazzo delle opere parrocchiali, fatto costruire nel 1962, per incrementare l'attività religiosa, dal parroco don Carmine, su suolo donato dal comm. Giovanni Ascione, pronipote di donna Agnese; esso comprende sale per le associazioni cattoliche maschili e femminili, una sala biblioteca, un salone per manifestazioni e, al primo piano, la canonica.

La chiesa possiede un grande e bellissimo ostensorio in argento fuso e dorato, riccamente decorato con incrostazioni in corallo e pietre preziose, opera della Ditta di coralli del citato comm. Ascione, e inaugurato nel 1933, durante le celebrazioni del Congresso Eucaristico a Torre del Greco.

fonte: www.torreweb.it
 
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