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Non bisognerebbe mai giudicare un fotografo dal tipo di pellicola che usa, ma solo da come la usa.
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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.

Articolo del 29/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 1643 Volte

Difiorefotografi - Napoli, Ercolano: Santuario di S. Maria a Pugliano. Le origini. Ingresso sposa.



Le origini del Santuario di S. Maria a Pugliano.


L’attuale zona di Pugliano, dove oggi è ubicato il Santuario, era nell’antichità un fitto bosco, parte integrante della macchia mediterranea che ricopriva le pendici del Vesuvio. Tra la montagna e il mare era, allora, un ininterrotto susseguirsi di filari di pini, una stupenda distesa di prati e di fiori, talché il celebre Plinio poteva entusiasticamen­te affermare che la natura si era compiaciuta di far mostra in un solo luogo di tutta la sua bellezza (Plin. N. H. :111, V, 40). Ma, in seguito all’eruzione del 79 d. C., un'immane colata di fango e di materiale piroclastico seppellì Ercolano e trasformò totalmente 1'aspetto dei luoghi intorno al monte.
Anche il nostro bosco fu travolto da quella spaventosa alluvione. Spogliato degli alberi e di ogni altro elemento vegetativo, divenne una spianata ricoperta di fango e di cenere. Su questo strato composito fu poi costruito un oratorio dedicato alla Vergine, nucleo originario di quel tempio di Pugliano, a proposito del quale così scrive il Rosini: “ Positum est in veteri terra (ita enim aggestos cineres Tito aevo e monte effusos no­minant”) (Rosini,1797 : cap. IV, n. 14, pag. 24 Una tavola incisa e dipinta all'acquatinta, tratta dal Voyage pittoresque ou description desRoyaumes de Naples et de Sicile del famoso abate Saint - Non, mostra un'eccellente ricostruzione del « bosco supra Resina » che circonda l' oratorio.
Non sappiamo quanto tempo il bosco (con 1'oratorio) seppe resistere alle successive e frequenti eruzioni del vulcano, ma è certo che nell'undicesimo sec. il santuario di Pugliano sorge al centro dell'attuale piazza in tutta la sua maestà.
L'ubicazione del tempio, isolato sulla collina ed esposto continuamente alle insidie del Vesuvio, appare evidente in tutta una serie di disegni, incisioni e vedute del XVII e XVIII secolo.

fonte: www.smapugliano.it
 

Articolo del 28/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 6346 Volte

difiorefotografi - Köln-Cologne - the Kölner Dom.



Der Kölner Dom, offizieller Name Hohe Domkirche St. Peter und Maria, ist eine römisch-katholische Kirche in Köln und die Kathedrale des Erzbistums Köln. Die Kirchenpatrone sind Simon Petrus und Maria, die Mutter Jesu. Der Kölner Dom ist mit 157 Metern Höhe nach dem Ulmer Münster die zweithöchste Kirche in Deutschland sowie die dritthöchste der Welt. Er steht an der nördlichen ehemaligen römischen Stadtgrenze in direkter Nachbarschaft des heutigen Hauptbahnhofs, der Altstadt, Hohenzollernbrücke und Museum Ludwig und ist von einer modernen Betonkonstruktion, der so genannten Domplatte, umgeben. Vom rund 250 Meter entfernten Rhein und vom Hauptbahnhof aus ist die Lage der Kathedrale auf dem so genannten Domhügel, rund 17 m über dem Rhein, noch zu erahnen. Der Kölner Dom ist die weltweit drittgrößte Kathedrale im gotischen Baustil (nach der Kathedrale von Sevilla und dem Mailänder Dom). Viele Kunsthistoriker sehen in ihm eine einmalige Harmonisierung sämtlicher Bauelemente und des Schmuckwerks im Stil der mittelalterlich-gotischen Architektur verwirklicht. Der Kölner Dom wurde 1996 in die Liste des Weltkulturerbes aufgenommen. Die riesige Fläche der Westfassade mitsamt den beiden Türmen von über 7.100 Quadratmetern ist bis heute nirgendwo übertroffen worden. Von 1880 bis 1884 war er das höchste Gebäude der Welt. Er ist zudem die populärste Sehenswürdigkeit Deutschlands: 2001 wurden fünf Millionen, 2004 sechs Millionen Besucher aus aller Welt gezählt. Im Jahr 2005 besuchte Papst Benedikt XVI. anlässlich des Weltjugendtages 2005 den Dom.

Antike und frühmittelalterliche Architektur. Bei Ausgrabungen unter dem Dom wurden Reste römischer Wohnhäuser des 1.– 4. Jahrhundert gefunden. Im späten 4. oder im 5. Jahrhundert entstand unter dem Chor des heutigen Domes ein 30 bis 40 Meter langer Apsidenbau, vielleicht schon eine erste Kirche. Abgelöst wurde dieses Gebäude noch im 5. oder spätestens im frühen 6. Jahrhundert durch eine ähnlich dimensionierte Architektur, in die in den 530er Jahren reiche fränkische Fürstengräber eingebracht wurden. Diese Gräber sind ein Indiz für die kirchliche Nutzung von Bau 2. In der zweiten Hälfte des 6. Jahrhunderts entstand eine neue Kirche, die archäologisch durch ihre schlüssellochförmige Kanzel (Ambo) erkennbar ist und die älteren Anlagen überdeckte. Durch Erweiterung in Richtung Westen entwickelte sich diese Kirche etwa bis zur Größe des nachfolgenden Alten Domes und bestand wohl bis etwa um 800. Aus dem 6. Jh. befinden sich östlich des heutigen Domchores noch die Überreste eines frühchristlichen Baptisteriums (ein von einer Kirche abgetrennter Taufraum). Erhalten ist das achtseitige Taufbecken (Taufpiscina). Das Baptisterium selbst war rechteckig und in einer zweiten Bauphase kreuzförmig. Die letzte Bauphase war wiederum rechteckig und über zwei seitliche Gänge mit der Kirche verbunden. Wahrscheinlich wurde das Baptisterium im 9. Jahrhundert beim Bau des alten Domes abgerissen und durch einen in der Kirche aufgestellten Taufstein ersetzt.

Der Alte Dom. Der Alte Dom ist der unmittelbare Vorgängerbau des heutigen Domes. Er wurde am 27. September 873 geweiht. Erzbischof Hildebold war zu dieser Zeit bereits seit langem verstorben. Als Bauherr und als Stifter kommt er vielleicht noch für Teile der dem Alten Dom vorausgehenden letzten Umbauphase des Domes aus der Merowingerzeit in Frage, insbesondere für dessen Westteil mit dem sogenannten St. Galler-Ringatrium. Vielleicht war er aber auch tatsächlich Begründer des Alten Domes der nach den archäologischen Quellen ab 800 entstanden sein könnte. Der Alte Dom verfügte über ein Langhaus, das an beiden Enden durch Querhäuser begrenzt wurde. Er war Vorbild für viele in seiner Zeit in Europa entstandenen Kirchen und beherbergte so bereits das im 10. Jahrhundert entstandene Gerokreuz, das zweitälteste erhaltene Monumentalkruzifix des Abendlandes. Im Jahre 1248 wollte man den Alten Dom nach und nach abreißen, um mit dem Bau des neuen gotischen Domes beginnen zu können. Jedoch brannte bei dem Versuch, nur den Ostchor mit Brandabbruch niederzulegen, 1248 beinahe der gesamte Bau ab. Die Westteile wurden provisorisch wiederhergestellt, damit man in ihnen Messen feiern konnte. Noch im selben Jahr wurde mit dem Bau des heutigen Kölner Domes begonnen.

Der neue Dom. 1164 brachte der Kölner Erzbischof Rainald von Dassel die Reliquien der Heiligen Drei Könige von Mailand nach Köln. Sie waren ein Geschenk des Kaisers Friedrich I. an seinen Reichskanzler aus dessen Kriegsbeute. Diese Reliquien führten um 1225 zu dem Plan, einen neuen Dom zu bauen - die alte Kathedrale war dem enormen Pilgeransturm nicht mehr gewachsen und schlichtweg zu klein geworden. Der gotische Bau wurde am 15. August 1248 nach einem Plan des Dombaumeisters Gerhard von Rile begonnen. Als Baumaterial wurde vor allem das Trachyt aus dem Siebengebirge verwendet. Vorbild war die Kathedrale von Amiens. Nachdem Köln 1288 in Folge der Schlacht bei Worringen de Facto freie Reichsstadt wurde, war der Dom zwar noch der nominelle Sitz des Erzbischofs, jedoch betrat dieser seine Kathedrale nur relativ selten. Dies tat dem Baufortschritt jedoch zunächst keinen Abbruch, da Bauherr nicht der Erzbischof, sondern das Domkapitel war. Die Weihe des Chors erfolgte 1322. 1410 erreichte der Südturm das zweite Geschoss, bald darauf konnte die erste Glocke im hölzernen Glockenstuhl aufgehängt werden (die „Dreikönigenglocke“ von 1418). Gegen Ende des 15. Jahrhunderts ließ die Bauintensität zunehmend nach. Um 1510 stellte man den Bau wegen Geldproblemen und Desinteresse ein, 1560 beendete das Domkapitel dann endgültig die Zahlungen zum Weiterbau. Über 300 Jahre bestimmte der unfertige Kölner Dom die Silhouette der Stadt. Bis 1868 befand sich auf dem bis dahin unvollendeten Südturm des Kölner Doms ein durch Treträder angetriebener Baukran aus dem 15. Jahrhundert. Aus dieser Zeit stammt wohl der ironische Kölner Ausspruch, dass, wenn der Dom einmal fertig sei, die Welt untergehe. 1814 wurde die eine Hälfte des 4,05 Meter großen überarbeiteten Fassadenplanes des zweiten Nachfolgers Gerhards, Dombaumeister Arnold, von Georg Moller in Darmstadt wiederentdeckt, die andere 1816 von Sulpiz Boisserée in Paris. Um die Wende zum 19. Jahrhundert lenkten außerdem Romantiker in ihrer Begeisterung für das Mittelalter das öffentliche Interesse erneut auf den unvollendeten Dombau, der zudem als Symbol für die deutsche Einheit in der sich verstärkenden Nationalbewegung Bedeutung erhielt. Neben anderen waren Joseph Görres und Sulpiz Boisserée die treibenden Kräfte für die Vollendung, so dass am 4. September 1842 durch den preußischen König Friedrich Wilhelm IV. und den Koadjutor und späteren Erzbischof Johannes von Geissel der Grundstein für den Weiterbau des Kölner Doms gelegt werden konnte. Der Stein wurde auf den noch unvollendeten Südturm hochgezogen und dort eingemauert. Friedrich Wilhelm IV: „ … Hier, wo der Grundstein liegt, dort mit jenen Türmen zugleich, sollen sich die schönsten Tore der ganzen Welt erheben …“. Auch finanziell beteiligte sich der Staat Preußen. Kurz vor der Grundsteinlegung hatte sich der Zentral-Dombau-Verein zu Köln gegründet, zu dessen wichtigsten Aufgaben das Sammeln von Geld für das Bauvorhaben zählte. Am 19. Oktober 1820 wurde ein Einbruch in den Kölner Dom bekannt, bei dem wertvolle Teile des Dreikönigsschreins herausgebrochen und entwendet wurden. 1880 wurde der Dom nach über 600 Jahren vollendet, getreu den Plänen der Kölner Dombaumeister des Mittelalters und dem erhaltenen Fassadenplan aus der Zeit um 1280. Allerdings sind die Fassaden des Querhauses eine Schöpfung des 19. Jahrhunderts, da hiervon keine mittelalterlichen Pläne vorlagen. Beim Bau wurden die modernsten Techniken, insbesondere für den Dachbau – eine neuzeitliche Eisenkonstruktion – und die Türme durch die Dombaumeister Ernst Friedrich Zwirner und Karl Eduard Richard Voigtel eingesetzt. Nach der Fertigstellung war der Dom acht Jahre lang mit 157,38 Metern das höchste Gebäude der Welt. Die verbaute Steinmasse beträgt ungefähr 300.000 Tonnen. Das Ende des Dombaus wurde am 15. Oktober 1880 mit einem Fest gefeiert, das Wilhelm I. als Mittel zur öffentlichen Repräsentation und als identitätsstiftendes Element des neun Jahre zuvor gegründeten Reiches nutzte. Allerdings fand das Fest in der Zeit des Kulturkampfs statt. Der amtierende Kölner Erzbischof befand sich in Verbannung und viele Mitglieder der Kölner Bürgerschaft blieben dem Empfang des protestantischen Kaisers fern.

Erhaltung. Größere Schäden erlitt der Dom während des Zweiten Weltkrieges unter anderem durch 70 Bombentreffer. Brandbomben wurden von Mitarbeitern, die im und auf dem Dom postiert waren, sofort gelöscht. Durch die Bombentreffer stürzten, unter anderem im Langhaus, einige Deckengewölbe ein, das Dach ist dank des eisernen Dachstuhls nicht eingestürzt. Die sogenannte Kölner Domplombe schützte jahrzehntelang den Nordturm vor dem Zusammenbruch. 1946 begannen die archäologischen Ausgrabungen durch Otto Doppelfeld, die bis 1997 andauerten. 1948 wurde der 700. Jahrestag der Grundsteinlegung in einem stark beschädigten Dom gefeiert. Ab 1956 erfüllte er seine Funktion für die Menschen wieder. Heutzutage sorgen vor allem Umwelteinflüsse für die Beschädigung des Doms. Saurer Regen zerfrisst den Stein und Abgase färben ihn dunkel. Deswegen kämpfen die Dombaumeister schon seit Jahrzehnten gegen den stetigen Zerfall durch massenhaftes Ersetzen von Verzierungen. Diese Besonderheiten sind von unten natürlich nicht erkennbar. Heute werden nur noch Standard-Kreuzblumen und andere Ornamente eingesetzt. So werden die steinernen Zeitzeugen bald für immer vom Kölner Dom verschwunden sein.

Weltkulturerbe. Der Kölner Dom wurde 1996 von der UNESCO als eines der europäischen Meisterwerke gotischer Architektur eingestuft und zum Weltkulturerbe erklärt. Am 5. Juli 2004 wurde er wegen der „Gefährdung der visuellen Integrität des Doms und der einzigartigen Kölner Stadtsilhouette durch die Hochhausplanungen auf der dem Dom gegenüberliegenden Rheinseite“ vom UNESCO-Welterbekomitee auf die Rote Liste des gefährdeten Welterbes gesetzt.[1] Bei Verhandlungen am 13. Juli 2005 auf der UNESCO-Konferenz im südafrikanischen Durban wurde die endgültige Entscheidung um ein Jahr vertagt. Den deutschen Behörden sollte die Möglichkeit gegeben werden, bis Ende 2005 Informationen über geplante Baumaßnahmen in Köln-Deutz einzureichen. Für die folgenden Jahre waren dort noch mehrere Neubauten geplant. Im Juli 2006 entschied das Welterbekomitee auf seiner 30. Tagung im litauischen Vilnius, den Kölner Dom aus der Liste des gefährdeten Welterbes zu streichen.[2] Damit wurde den geänderten Bauplänen für das rechtsrheinische Ufer Rechnung getragen; außer dem bereits fertiggestellten „KölnTriangle“ sollen dort keine weiteren Hochhäuser mehr entstehen.

fonte: www.wikipedia.org

 

Articolo del 26/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 13065 Volte

difiorefotografi - Napoli, Torre del greco, colle s. Alfonso: Le damigelle. Reportage - Matrimonio

 

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difiorefotografi - Napoli, Ravello: matrimonio all'aperto. Reportage - Wedding



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Articolo del 21/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 3805 Volte

difiorefotografi - Napoli, Torre del greco: Chiesa S. Antonio dei Brancaccio. Fotografi - Napoli




Chiesa di S. Antonio dei Brancaccio


Il dott. Antonio Agostino Brancaccio, nato nella nostra città nel 1837, fu valente medico, membro di vari Congressi medici, amministratore sagace e onestissimo al comune per diversi anni come Sindaco, Consigliere e poi Deputato provinciale, Direttore dell'Ospedale succursale degli Incurabili di Napoli sito al Miglio d'Oro, Presidente del Consiglio direttivo della Scuola d'Incisione sul Corallo, Cavaliere dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, Commendatore della Corona d'Italia.
Sinceramente cristiano, fu buono e pio nei sentimenti e nelle opere.

Morto fra il compianto generale della cittadinanza il 9 marzo 1899 nella sua villetta posta alla sommità di via Sedivola, sua moglie donna Agnese Ascione, pia e buona anch'essa, volle onorarlo erigendo, a sue spese e su terreno proprio, accanto alla villa, una chiesa, che mancava ancora nella zona, da dedicare a S. Antonio di Padova, di cui il caro scomparso portava il nome.
Diede allora l'incarico della costruzione al nipote Giuseppe Ascione, figlio di suo fratello Giovanni, e questi chiamò il prof. Enrico Taverna, Direttore della Scuola del Corallo, che approntò il progetto. La chiesa, nata come atto d'amore, venne consacrata il 3 giugno 1902 da mons. Antonio Scotti, già vescovo di Piedimonte d'Alife, allora residente nella nostra città.
Di proprietà della famiglia Ascione, ebbe di volta in volta come rettori tre nipoti sacerdoti della stessa donna Agnese, cioè don Francesco Villani, don Ulrico Ascione e don Antonio Ascione. Nel 1945 essa fu eretta a parrocchia, passando alla diretta amministrazione della Curia Arcivescovile di Napoli e primo parroco fu lo stesso don Antonio; gli è succeduto poi l'attuale, don Carmine Ascione, che non è della stessa famiglia della fondatrice, ma soltanto un omonimo.
La chiesa è in quello stile gotico revival o rinascente che, rifacendosi all'originario già fiorito nel Medio Evo, fu in voga a metà del secolo scorso in Europa, soprattutto in Inghilterra e in Francia. Perfetto, perciò, è il suo verticalismo, sia nella facciata che nell'interno ad una sola navata, con le arcate ogivali, le finestre bifore illeggiadrite da vetrate colorate ove sono dipinti bianchi gigli.

L'altare in marmo grigio ha dei bronzi raffiguranti il mistero eucaristico ed è sormontato da una grande urna che racchiude la statua del Santo di Padova, opera del prof. Dantino di Torino, amico del Taverna. In una parete del presbiterio sono murati i resti mortali di don Antonio Brancaccio e di donna Agnese, qui traslati dalla cappella gentilizia del cimitero comunale il 12 dicembre 1963. L'epigrafe latina apposta sul muro ricorda che il Brancaccio "inaestimabilis scientiae ac animi sui thesauros in egenos aegrosque profuduit, civium magister plurimos permansit honestissimus honoratusque annos" (profuse gli inestimabili tesori della scienza e dell'animo suo ai bisognosi e ai malati, e come sindaco per diversi anni rimase onestissimo e onorato).
Annesso alla chiesa è il palazzo delle opere parrocchiali, fatto costruire nel 1962, per incrementare l'attività religiosa, dal parroco don Carmine, su suolo donato dal comm. Giovanni Ascione, pronipote di donna Agnese; esso comprende sale per le associazioni cattoliche maschili e femminili, una sala biblioteca, un salone per manifestazioni e, al primo piano, la canonica.

La chiesa possiede un grande e bellissimo ostensorio in argento fuso e dorato, riccamente decorato con incrostazioni in corallo e pietre preziose, opera della Ditta di coralli del citato comm. Ascione, e inaugurato nel 1933, durante le celebrazioni del Congresso Eucaristico a Torre del Greco.

fonte: www.torreweb.it
 

Articolo del 19/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 1295 Volte

difiorefotografi - Napoli, Torre del Greco: Stefania con il padre in chiesa. Auguri a tutti i papà. Reportage - Matrimonio

 

Articolo del 18/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 1176 Volte

difiorefotografi - Germania, Colonia: Calde luci sul Reno. Reportage

 

Articolo del 17/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 1154 Volte

difiorefotografi - Napoli, Sorrento, chiesa San Francesco. Veduta dall'altare. Reportage

 

Articolo del 16/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 10899 Volte

difiorefotografi - Napoli, Santa Maria del Parto a Mergellina. L'interno, la storia.



Chiesa di Santa Maria del Parto a Mergellina.



La chiesa di Santa Maria del Parto è un luogo di culto di Napoli, ubicato nel quartiere Chiaia. Particolarità dell'ubicazione di questa chiesetta è di essere adiacente ad una terrazza (lastrico solare) di proprietà privata gravata da servitù di passaggio. Il tempio, quindi, si trova sulla sommità di un edificio privato cui si accede da una scala, posta alle spalle di un noto ristorante sito in piazza Mergellina, che si attesta proprio sulla terrazza ad una distanza di circa 40 metri dalla facciata del tempio. Inoltre, si può accedere alla chiesa anche attraverso un ascensore ed una scala coperta che hanno ingresso dalla via Mergellina n. 9/b. Tale civico si raggiunge percorrendo via Mergellina, in direzione di Posillipo, mantenendosi di fianco alla facciata del fabbricato che precede la chiesa; giunti alla estremità della facciata di questo edificio si scorge un grazioso portoncino, dove sono ubicati i predetti accessi.
L'edificio di culto ospita la salma del poeta napoletano Jacopo Sannazaro che fu l'autore del poema scritto in latino De partus Virginis (il parto della Vergine), da cui la chiesa prende il nome.
La chiesa fu voluta dallo stesso Sannazaro che costruì l'edificio di culto su un terreno donatogli nel 1497 dal re Federico d'Aragona. La maggiore opera d'arte presente nella struttura è la tomba del poeta; è posta dietro l'altare e fu realizzata dagli scultori Ammannati, Montorsolo e Ferrucci.
La nicchia è una complessa opera scultorea che si ispira all'ambiente dell'Arcadia (raffigurazioni di Apollo, Minerva, Nettuno, ecc.). Altre opere rilevanti dell'edificio sono le statue di Jacopo e Sannazaro, un presepe di Giovanni da Nola; una figura attribuita a Leonardo da Pistoia e lastre sepolcrali.



fonte: Wikipedia
 

Articolo del 16/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 2457 Volte

difiorefotografi - Sorrento, chiostro San Francesco: Luca e Anna. Reportage - Matrimonio

 

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difiorefotografi - Germania, Colonia: in contemplazione sul lungo Reno. Reportage Köln.

 

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difiorefotografi - Napoli, corso Vittorio Emanuele: Hotel San Francesco a Monte, la sala interna.

 

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difiorefotografi - Sorrento: La sposa con il papà a piedi verso la chiesa. Reportage - Matrimonio

 

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difiorefotografi - Caserta, San Agata dei Goti: Davide e Serena. Reportage - Matrimonio

 

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difiorefotografi - Napoli, Massalubrense, Villa Lubrense: Antonino e Anna. Reportage - Matrimonio

 

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difiorefotografi - napoli, corso Vittorio Emauele: hotel San Freancesco a Monte, la veduta. Reportage - Matrimonio

 

Articolo del 05/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 11021 Volte

difiorefotografi - Napoli, Torre del Greco: Club la vela. Gli sposi, la piscina, particolari. Report



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Articolo del 04/03/2008 Pubblicato in fotografie Letto 1725 Volte

difiorefotografi - Napoli, Pompeii: insieme. Reportage - Matrimonio

 


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